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I FINALISTI DELLE TARGHE TENCO 2014

I FINALISTI DELLE TARGHE TENCO 2014

Posted by on ott 23, 2014 in JSP, News, Rassegna Stampa | 0 comments

Ci sono artisti e lavori discografici che toccano tutti gli stili possibili della canzone d’autore nelle nomination delle Targhe Tenco 2014, il riconoscimento più prestigioso della musica italiana. Le Targhe non sono assegnate dal Club Tenco, ma da una giuria composta da oltre 200 giornalisti (di gran lunga la più vasta e rappresentativa in Italia in campo musicale), che in questa prima fase ha votato fra i dischi candidati i finalisti delle cinque sezioni.

 

Nella Targa per la miglior canzone si fronteggiano gli autori dei seguenti brani (in ordine alfabetico per brano):

L’amore non esiste, scritta da Niccolò Fabi, Max Gazzè, Daniele Silvestri (anche interpreti)

Il cielo è vuoto, scritta da Cristiano De André, Dario Faini, Diego Mancino (interprete: Cristiano De André)

Del suo veloce volo, scritta da Antony Hegarty, Franco Battiato, Manlio Sgalambro (interpreti: Franco Battiato e Antony)

Lettera di San Paolo agli operai, scritta dai Virginiana Miller (anche interpreti)

Sessanta sacchi di carbone, scritta da Giacomo Lariccia (anche interprete)

 

Le nomination per la Targa “album dell’anno” riservata a cantautori (qui elencati in ordine alfabetico per artista, così come nelle seguenti sezioni) vedono in lizza:

Brunori Sas, Il cammino di Santiago in taxi

Caparezza, Museica

Le Luci della Centrale Elettrica, Costellazioni

Massimo Volume, Aspettando i barbari

Nada, Occupo poco spazio

Virginiana Miller, Venga il regno

 

La Targa per l’album in dialetto vede come finalisti:

Enzo Avitabile, Music life O.s.t.

Francesco Di Bella, Francesco Di Bella & Ballads Cafè

99 Posse, Curre curre guagliò 2.0

Davide Van De Sfroos, Goga e Magoga

Loris Vescovo, Penisolâti

 

Nella sezione “Opera prima” (di cantautore) troviamo:

Betti Barsantini, Betti Barsantini

Pierpaolo Capovilla, Obtorto collo

Filippo Graziani, Le cose belle

Johann Sebastian Punk, More Lovely and More Temperate

Levante, Manuale distruzione

 

Fra gli interpreti di canzoni non proprie (quindi non cantautori) sono invece arrivati in finale:

Chiara Civello, Canzoni

Fiorella Mannoia, A te

Mirco Menna, Io, Domenico e tu

Alberto Patrucco e Andrea Mirò, Segni (e) particolari

Raiz e Fausto Mesolella, Dago Red

Saluti da Saturno, Shaloma locomotiva

 

Le Targhe saranno consegnate il 6 dicembre a Sanremo al Teatro Ariston, in una serata-evento a cui saranno invitati tutti i vincitori e che vedrà David Crosby come ospite d’onore. I biglietti sono già in vendita sul sito www.clubtenco.it e alla cassa del Teatro Ariston, tutti i giorni dalle ore 16.

 

Dopo le candidature, selezionate da una commissione di 20 giurati, le Targhe Tenco sono assegnate in due fasi. Con la prima, appena svoltasi, vengono selezionati i 5 finalisti (o più, in caso di ex aequo, come accade quest’anno in due sezioni). Con la seconda, che si terrà nei prossimi giorni, verrà proclamato il vincitore di ogni sezione.

Maggiori informazioni sulle Targhe, il regolamento e l’elenco dei giornalisti chiamati a votare si possono trovare all’indirizzo: www.clubtenco.it

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Recensione di Federico Romagnoli su Storia della Musica

Posted by on ott 13, 2014 in JSP, Rassegna Stampa, Senza categoria | 0 comments

 

Jo­hann Se­ba­stian Punk è il pro­get­to del mes­si­ne­se Mas­si­mi­lia­no Raffa, e que­sto è il suo album di de­but­to.

Raffa è un tipo am­bi­zio­so, che ha pur­trop­po avuto la sfor­tu­na di na­sce­re nella pro­vin­cia del­l’im­pe­ro. In In­ghil­ter­ra uno con le sue vel­lei­tà avreb­be plau­si­bil­men­te già tro­va­to spa­zio per re­gi­stra­re un disco al­l’al­tez­za del pro­prio sogno. In Ita­lia in­ve­ce deve af­fi­dar­si ai pro­pri mezzi, per­ché le clas­si­fi­che della mu­si­ca al­ter­na­ti­va e le at­ten­zio­ni di chi ne tira le fila sono oc­cu­pa­te da gente che pre­fe­ri­sce but­ta­re quat­tro ac­cor­di a caso con la chi­tar­ra acu­sti­ca e ra­gliar­ci sopra.

Non fac­cia­mo nomi per­ché non vor­rem­mo tra­sfor­ma­re que­sta re­cen­sio­ne in una guer­ra (del resto a quel­lo ci pensa già lo stes­so Raffa, pre­sen­tan­do­si con buffi pro­cla­mi al­ti­so­nan­ti), ma dav­ve­ro que­sto album è una boc­ca­ta d’a­ria fre­sca nien­te male per il po­ve­ro Bel Paese. Spe­ria­mo che ora qual­cu­no si ac­cor­ga del no­stro eroe e gli metta a di­spo­si­zio­ne i mezzi che me­ri­ta.​Per­ché sì, se que­sti brani hanno un li­mi­te, è la pro­du­zio­ne. Più che come un disco, suona come un bel­lis­si­mo demo (sot­to­li­neo a ogni modo il bel­lis­si­mo).

Dif­fi­ci­le de­scri­ver­lo, per­ché ogni volta che can­zo­ne sem­bra aver im­boc­ca­to una stra­da li­nea­re, ec­co­la sgre­to­lar­si in mille ri­vo­li. Sem­bra di ascol­ta­re un gioco di sca­to­le ci­ne­si, dove a ogni sca­to­la cor­ri­spon­de un di­ver­so ge­ne­re mu­si­ca­le. “Bar­ber’s Shops” ini­zia come una bal­la­ta ba­roc­ca, poi di­ven­ta dub­step, quin­di chiu­de in odor di rock pro­gres­si­vo scuo­la Can­ter­bu­ry. “Ver­nal Equi­nox” parte come una bos­sa­no­va e ter­mi­na come i Late of the Pier. “Jesus Crust Baked” sem­bra una band glam ubria­ca, salvo but­ta­re nel mezzo, del tutto a caso, il ri­tor­nel­lo di “Girls Just Want to Have Fun” di Cyndi Lau­per. “Yes, I Miss the Ra­mo­nes” è un po­wer-pop sin­te­ti­co pieno di stop e ri­par­ten­ze.

Ogni brano con­tie­ne una mi­ria­de di suoni bi­slac­chi e stru­men­ti im­pro­ba­bi­li (quan­ta gente si in­te­res­se­rà a zi­ther e kan­te­le in quel di Mes­si­na? Sem­pre che sia vero che il disco li con­ten­ga: non ab­bia­mo pos­si­bi­li­tà di di­stin­guer­li e il bello del gioco è anche in que­sto). Ogni brano mette inol­tre in chia­ro come Raffa di mu­si­ca ne abbia ma­sti­ca­ta pa­rec­chia e sap­pia trar­ne van­tag­gio. Ca­pi­ta quin­di che, in mezzo alla con­ti­nua ri­cer­ca dello stu­po­re, ci siano anche mo­men­ti più di­mes­si e emo­zio­nan­ti, quan­do a pren­de­re il so­prav­ven­to sono i tap­pe­ti di ta­stie­re e il ri­cor­ren­te tim­bro del Mel­lo­tron, per esem­pio, o ogni volta che spun­ta­no quei tin­tin­nii me­tal­li­ci stile ninna nanna, di cui l’al­bum è dis­se­mi­na­to.

Senza farla trop­po lunga, la pro­mes­sa c’è. Spe­ria­mo venga man­te­nu­ta.

da: http://www.storiadellamusica.it

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Johann Sebastian Punk, “more lovely and more temperate” (s.r.i. productions, irma records, audioglobe)

Posted by on apr 30, 2014 in JSP, Rassegna Stampa | 0 comments

JOHANN SEBASTIAN PUNK, “MORE LOVELY AND MORE TEMPERATE” (S.R.I. PRODUCTIONS, IRMA RECORDS, AUDIOGLOBE)

Posted 30 aprile 2014 by crimson74 in musica. Messo il tag:Albrecht Kaufmann, anni ’60, anni ’70, audioglobe, Bach, Beach Boys, Beatles, Beatrice Antolini, Bologna, bossa nova, cantautorato, classica, elettronica, Enrico Ruggeri, folk, indie, Irma Records, Johannn sebastian punk, Johnny scotch, Massimialiano Raffa, MEI, More lovely and more temperate, Pino Potenziometri, pop, prog, psichedelia, punk, S.R.I. Productions, Shakespeare, sperimentale, Stratford Upon Avon. Lascia un commento

Di Johann Sebastian Punk si sa poco: l’unica cosa certa è che gravita in quel di Bologna, accompagnato nelle esibizioni dal vivo da tre individui dai nomi altrettanto fantasiosi : Johnny Scotch, Albrecht Kaufmann, Pino Potenziometri; tutto il resto potrebbe essere vero o semplicemente inventato, per creare una di quelle ‘mitologie da negozio di dischi’ che talvolta si possono incrociare nelle strade meno battute della musica italiana: dalla nascita in quel di Stratford Upon Avon (che lo accomunerebbe a Shakespeare) all’infanzia e la giovinezza trascorse sull’isola di Mann… ma alla fine non è manco detto sia inglese, nonostante in inglese canti, e per quello che ne potremmo sapere, potrebbe addirittura chiamarsi sul serio Johann Sebastian Punk (e chi può dirlo?).

In realtà poi non bisogna manco sforzarsi a cercare più di tanto per scoprire che il nostro risponde al nome di Massimiliano Raffa, e con Bach e Shakespeare c’entra poco, essendo siciliano… comunque, alla fine, tutto questo importa poco, forse è meglio parlare di musica.

Musica, quella di Raffa / Punk o come lo si voglia chiamare, che gli ha conquistato i favori di Enrico Ruggeri, che l’ha scelto per accompagnarlo nel concerto del trentennale di carriera al MEI e di Beatrice Antolini, eroina della scena ‘indipendente’ italiana, che ha contribuito a produrgli il disco. Lavoro di quelli poco identificabili, poco classificabili, che mescola pop con un lieve retrogusto di bossanova, cantautorato folk vagamente obliquo, intermezzi quasi prog, episodi dal sapore orchestrale, sprazzi sperimentali tra psichedelia e rumorismo elettronico.

Di ‘punk’, oltre a un brano intitolato ‘Yess, I miss the Ramones’ (il più movimentato del disco) c’è sopratutto un attitudine, poco votata al compromesso; di Johann Sebastian (Bach) ci sono continue ‘spore’, sparse qua e là, tra tastiere dal sapore clavicembalistico e un lieve costante affacciarsi su territori classici;

c’è molto di anni ’60 e ’70, con brani che rievocano certi esperimenti beatlesiani, più che il gusto per il ‘riempimento sonoro’ dei Beach Boys, c’è la stagione felice del folk inglese di quegli anni; ma c’è anche l’indie-pop scanzonato degli ultimi anni e qualche escursioni in territori elettronici.

Tastiere ed effetti vari costruiscono effetti sempre cangianti, prendendo spesso le redini del gioco: non mancano le chitarre, più spesso acustiche, talvolta adeguatamente elettrificate; fanno capolino dei fiati, con delicatezza o smodata vivacità; domina il cantato del protagonista, all’insegna di un’interpretazione spesso e volentieri teatrale, talvolta forse alla ricerca fin troppo insistita di un effetto ‘teatrale’.

Alla fine però prevale la positiva impressione di un disco – e di un autore – inaspettato: di quelli da cui non si sa bene cosa aspettarsi nello scorrere delle undici tracce (dieci, escludendo il breve intro) disco, che anzi, riesce a rivelare sorprese e particolari precedentemente sfuggiti; un ascolto stimolante e in fondo divertente, un bel gioco che una volta tanto non dura poco.

http://crampi2.wordpress.com/2014/04/30/johann-sebastian-punk-more-lovely-more-temperate-s-r-i-productions-irma-records-audioglobe/

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Massimiliano Raffa: l’ambizione di sentirsi Johann Sebastian Punk

Massimiliano Raffa: l’ambizione di sentirsi Johann Sebastian Punk

Posted by on apr 24, 2014 in JSP, Rassegna Stampa | 0 comments

Johann Sebastian Punk è l’ambizioso progetto dell’artista siciliano poco più che ventenne,Massimiliano Raffa, uno che “cova piani catastrofici e che ha dichiarato guerra alla spontaneità” e che si definisce “un eroe decadente” intenzionato a riportare un’immagine dionisiaca di bellezza, laddove questa è stata sostituita da un grigio e sordido provincialismo. “Negli ultimi anni – dichiara l’artista – si è assistito alla morte dei generi musicali, cosa che anziché arricchire i contenuti musicali liberandoli dalle briglie delle etichette ha invece innescato delle dinamiche deleterie di totale impoverimento compositivo”. L’obiettivo di More Lovely and More Temperate, il suo disco d’esordio, composto da 11 brani in cui convivono glam-rock e shoegaze, bossa nova e rock, baroque pop e surf-punk, “è quello di fotografare questa totale confusione in cui viviamo ma con lo stesso spirito, lo stesso ardore e con la stessa attenzione alla composizione dell’età dell’oro della musica leggera. Quel periodo che va dagli anni 50 del XX secolo agli anni Zero del XXI”. E non è un atteggiamento nostalgico o passatista: tutt’altro! Condanna aspramente l’immobilismo creativo diffuso, richiamandosi all’ardimento sperimentatore di quella musica che ha segnato l’arte contemporanea. Johann Sebastian Punk vuole essere l’interprete di questo senso di smarrimento, e vuole farlo riaffermando il potere della composizione e dell’interpretazione, vessato da un’estetica dimessa che ha perso e alla quale adesso tocca cedere il passo a qualcosa che si faccia portatrice di bellezza. “È la storia a imporlo – prosegue Raffa – E io voglio essere parte di questa storia, voglio denunciarlo così, a costo di essere ridicolizzato dall’altrui indifferenza”.

Mi parli di te e del tuo background artistico?
Le mie prime registrazioni costituiscono un tentativo di costruzione di un ponte tra musique concréte, musica aleatoria e libera improvvisazione applicata al pop e alla ricerca melodica in una maniera del tutto inedita, in cui acustico, elettrico ed elettronico, analogico e digitale, potessero risultare parte di un unico febbricitante pastiche. Con l’avanzare del tempo mi sono gradualmente avvicinato alla forma canzone, pur senza perdere un approccio fortemente sperimentale alla scrittura e navigando in acque compositive spesso lontanissime tra loro. Penso a modo mio di essere stato un innovatore al quale non è stato dato riconoscimento in età adolescenziale. E poi è arrivato, a Bologna, Johann Sebastian Punk. Che per alcuni sono io, ma che in realtà può anche essere letto come il nome di un gruppo: senza i miei compagni di viaggio Simone Aiello (Pino Potenziometri), Lorenzo Boccedi (Albrecht Kaufmann) e Giandomenico Zeppa (Johnny Scotch) il progetto Johann Sebastian Punk non potrebbe esistere. Non riesco a pensare a un gruppo con altre persone.

E come mai questo “omaggio” al grande Bach?
Bach riteneva che l’opera fosse una forma d’arte minore, e si narra che fosse solito chiamare “canzonette” i contenuti musicali dell’opera. Eppure l’opera per musica era la forma d’arte simbolo del barocco, con la sua capacità di riunire all’interno di sé una serie diversissima di canoni espressivi e di arti come poesia, canto, recitazione, scenografia, architettura con un’inedita capacità di stimolare turbamento o meraviglia in pubblici sempre più vasti. Bach in questo fu molto punk, perché se l’opera continuò a prosperare perché la storia voleva andasse così, il barocco – con tutti i suoi codici – dovette piegarsi alla musica di Bach, dopo la quale il barocco non avrebbe avuto alcun senso. Ma Bach è anche il più complesso, almeno per l’epoca, si pensi alle composizioni del suo rivale Telemann, assai meno articolate di quelle di mio compare Giansebastiano, dei tardo-barocchi. È qui che Bach cambia cognome in Punk. Quando le canzonette diventano una condanna, e quando lo spirito annientatore del punk diviene l’unico modo perché l’arte riesca ad assumere una forma credibile. Distruggere per creare, sempre.

Ascoltando il tuo disco vengono alla mente molti riferimenti culturali, richiami a musiche, ad artisti e non solo per via delle cover: mi parli di questo tuo disco, in particolare di come l’hai concepito e cosa l’ha ispirato?
Secondo una balzana quanto intrigante teoria formulata nel corso degli anni da diversi studiosi della vita di William Shakespeare, la città d’origine di colui che è universalmente riconosciuto come il più grande drammaturgo d’ogni tempo non sarebbe, così come tutti noi abbiamo appreso dai libri di scuola, Stratford-upon-Avon, bensì Messina. Per quanto la storia abbia dell’assurdo, la quantità di coincidenze a suffragio dell’ipotesi che non si tratti di mera manipolazione storica è assai consistente. E a me, che sono messinese, la teoria piace e convince nella sua assurdità. Shakespeare è un buon punto di partenza, perché è di questi equivoci che deve nutrirsi l’arte. Del resto suggestioni tratte dall’opera del bardo di Avon sono disseminate in tutto il disco, a partire dal titolo tratto dal verso del noto Sonetto 18 e dal mio accento inglese, frutto di uno studio glottologico che mi ha portato a elaborare una via di mezzo tra le inflessioni tipiche della parlata delle West-Midlands del XVI secolo e alcuni tratti fonetici caratteristici del siciliano nordorientale.

Mi dai qualche spiegazione sulla copertina?
La copertina può essere criptica, e qualcuno di questi giovani relativisti politicamente corretti rincoglioniti dagli effetti dell’impoverimento del linguaggio politico e della capacità argomentativa che ha colpito il mondo di quella che io chiamo “sinistra confindustriale” l’ha persino definita “maschilista”. Perché ormai se esponi un corpo femminile ti devi anche beccare del maschilista. Vabbè, comunque, dicevo: la copertina può essere criptica, ma svela molte cose. Do qualche indizio, di per sé pleonastico se la si osserva attentamente, perché ognuno possa interpretarla alla propria maniera ascoltando l’album: è un corpo femminile regolare e longilineo, ben rappresentativo di un canone di bellezza universale, ma non nudo. Ha addosso della biancheria intima tipica di questo strano inizio di XXI secolo. Rappresenta il bello, l’Arte, ma è seduta sul cesso. Ed è un’Arte che ci dà le spalle. Perché ci dà le spalle? Chi riesce a risolvere il rebus, forse, avrà compreso parte dei miei intenti artistici.

Cos’è che ti piacerebbe venisse colto da chi ascolta il tuo disco?
Proprio in virtù di quanto appena detto mi piacerebbe che ne venisse colta la portata storica, e che non venisse automaticamente gettato nel graveolente paiolo della musica indipendente italiana degli anni Dieci. Non c’entra nulla. È un album del quale vorrei venisse colto il valore universale e l’intento universalistico; vorrei che venisse colto il suo tono autoironico, quel suo modo beffardo di essere politicamente scorretto; vorrei che venisse colto il fatto che quella della denuncia della decadenza delle arti sia in realtà un dipinto ben più articolato della mostruosità psicotropa del mondo contemporaneo; vorrei che venisse colto, che con spirito molto punk, di questo degrado a Johann Sebastian Punk apparentemente non importa nulla perché il disastro nucleare è come se fosse già avvenuto. Non sarà facile.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/24/massimiliano-raffa-lambizione-di-sentirsi-johann-sebastian-punk/960152/

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Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato

Posted by on apr 21, 2014 in JSP, Rassegna Stampa | 0 comments

Questa reminiscenza citazionista racchiude tutto il senso dell’album di Johann Sebastian Punk. Questo perché il suo disco d’esordio è una brillante eccezione, dato che il buon Raffa infila nelle undici canzoni una caotica quantità di suoni, decorazioni e preziosismi, generando una sintesi invidiabile ma di difficile spiegazione solo su testo.

Osando con i paragoni, Johann riesce ad estremizzare il Barocco per giungere al Rococò, lascia l’opulenza e le tinte scure e ormai datate, arrivando alla gioia e alla ricercatezza macroscopica. Johann Sebastian Punk nella musica italiana contemporanea come Antoine Watteau nella pittura del Settecento? Forse è un azzardo, forse è arrogante, ma More Lovely And More Temperate è tutto questo, non c’è nulla in più da inventarsi rispetto a quello che si può ascoltare.

Inoltre è esattamente tutto quello che in Italia fino ad ora non è andato, pensando al mondo underground-indipendente, quindi l’azzardo è doppio. Citando direttamente Raffa è proprio un disco che vuole essere il contrario di ciò che c’è in Italia adesso”(rileggete la prima frase dell’articolo, ndr). Se avrete la pazienza di ascoltarlo lo capirete subito e lo amerete, perché l’incoerenza e la fantasia del messinese non possono non conquistare: gli archi, i fiati, insieme all’elettronica e alle voci effettate, “dovranno” risvegliare in voi qualcosa di sopito.

L’esordio di Raffa aka Joahnn Sebastian Punk con More Lovely And More Temperate merita rispetto e una punta di ammirazione, sia per il coraggio sia per lo stile. Con questo album sarebbe ingiusto non aspettarsi ancora meglio nel futuro (la resa audio ancora non eccellente), per il definitivo salto di qualità fra i Grandi con la “G” maiuscola. Lasciatevi stupire

http://lacaduta.tumblr.com/post/89171520018/recensione-johann-sebastian-punk-more-lovely-and

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